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domenica 6 marzo 2011

Un sogno nel cassetto

Avevamo vent’anni, quando un giorno, io e il mio fidanzato, quasi come un’illuminazione, ci rendemmo conto che era arrivato il momento di realizzare un sogno che avevamo cullato fin dal nostro primo incontro. Ne parlammo in paese, e Don Pietro Meledina ci mise subito a disposizione l’oratorio, quello di fronte alla chiesa. Era una sala lunga e stretta, senza riscaldamento, e c’erano solo poche sedie. Per noi però poche sedie erano tante, e quell’oratorio spoglio e freddo era perfetto per diventare il nostro nuovo punto d’incontro.
Cercammo adesioni prima di tutto in famiglia, e poi tra i vicini di casa, che a loro volta invitarono amici e parenti. L’idea era piaciuta a tutti. D’altra parte non è che avessimo tanto da fare. I ragazzi frequentavano il bar e le ragazze s’incontravano nella sede dell’Azione Cattolica. Poi c’erano le feste in famiglia, ma nient’altro. Incontrarsi per cantare avrebbe aggiunto un po’ di novità alla vita di tutti, e persino i nostri genitori non avrebbero avuto nulla da ridire: un coro era un buono e sano motivo per darci il permesso di rientrare alle nove di sera.
In pochissimi giorni arrivarono più di venti ragazzi, felici di condividere il nostro progetto. Ci conoscevamo tutti, ma c’eravamo un po’ persi di vista, perché ormai eravamo alle scuole superiori. Ora potevamo rispolverare tante amicizie nate all’asilo, alla scuola elementare, alle scuole medie, ma soprattutto per strada, dove avevamo giocato ogni giorno insieme.
Chi non ricordava la madre superiora Suor Nazaria, severissima anche quando ci insegnava a recitare. Forse era proprio grazie alla sua severità che all’asilo gli spettacoli riscuotevano sempre un grande successo, e se ne parlava a lungo nelle botteghe, in panificio, e anche la sera “in sa friscura”. Dopo cena ci davamo appuntamento in strada, davanti a casa: i più grandi si portavano appresso gli scanni e si sedevano a raccontare. Come era bello ascoltarli! Loro avevano visto gli spettacoli, e noi che non avevamo potuto comprare un biglietto d’ingresso, restavamo affascinati e fantasticavamo sulle scene e i costumi, anche nei giorni seguenti, quando i loro racconti arricchivano i nostri giochi. Alle undici della sera, d’estate, si cominciavano a sentire i richiami per andare a dormire: “Annaaa! Antonellooo! Giorgiooo! Alidaaa!”. Ma nessuno rispondeva finché i racconti non erano finiti.
Negli stessi anni Suor Glicina e Suor Anselmina ci avevano dato le prime lezioni di canto. Forse era anche grazie a loro che amavamo la musica. Al tempo, le maestre conoscevano un vastissimo repertorio di canti: dai cori alpini e patriottici, ai canti napoletani e popolari, ai cori da opere. Mancavano solo i canti sardi. Chi cantava in sardo erano i lavoratori in paese, non le ragazze canterine che avevano ormai subìto il fascino della canzone italiana, grazie all’ingresso prepotente della radio nelle case. Solo i più anziani si ostinavano ancora ad ascoltare i canti sardi trasmessi da Radio Sardegna, e così succedeva che ogni domenica, verso le due del pomeriggio, da casa di Martinella, “sa canzoni a curba”, “su muttettu” o “su cantu a tenores” echeggiavano in tutto il paese, che ti piacesse o meno. Qualche volta i vicini se ne lamentavano, ma forse alla fine Martinella manteneva viva la tradizione del canto sardo, al posto delle maestre, e noi stessi, forse anche grazie a lei, avevamo imparato ad apprezzare tutta la musica, indistintamente.
Eravamo cresciuti cantando. Si cantava a casa, in chiesa, a scuola, per strada, al lavoro e nei giochi. Anche la morte aveva il suo canto. Tante volte avevamo sentito “s’attitidu”. Gli adulti non ci permettevano di stare nella stanza del morto, ma noi ci spingevamo fin sotto le finestre della casa in lutto, e ascoltavamo curiosi le lodi che si cantavano al defunto.
Poi c’era stato “Un fil di fumo”: un vero successo scolastico. Tutte le famiglie avevano imparato a cantarlo dai loro figli e ancora oggi molti se lo ricordano. Sulla scena gli alunni cantavano e danzavano vestiti da cinesini. Avevano delle casacche in raso dai mille colori e un capellino col codino nero. Era stato davvero divertente preparare i costumi: in paese c’erano tante brave sarte e facevano a gara per creare l’abito migliore. A scuola avevamo preparato i glicini di carta che sarebbero usciti da dentro le maniche delle casacche al passaggio della “Bella Mus Me”. E la “Bella Mus Me” che avanzava con lo splendido kimono fiorito, le guance rosa come le delicate porcellane cinesi, e la crocchia appuntata con dei lunghi spilloni neri, era rimasta nel cuore di tutti, insieme al dolcissimo motivo che cantava. Che voce soave! Che melodia carica di vibrante dolcezza! Meravigliosi ricordi che nel tempo si erano trasformati nel desiderio di incontrarci, o ri-incontrarci, per cantare.
Incominciammo con un canone, una forma musicale semplice, ma d’effetto, che piacque a tutti. Scegliemmo poi dei canti della polifonia del ‘500 a tre e a quattro voci. Ci chiamavano la Maestra e il Maestro, anche se al Conservatorio eravamo ancora solo degli studenti. Io insegnavo a leggere la musica e il mio fidanzato insegnava i canti.
Ci incontrammo per diversi mesi con l’impegno di prepararci per una prima esibizione. Intanto nascevano nuove amicizie, nuovi amori, ma anche nuovi impegni. Terminati gli studi, ci trasferimmo a Venezia e il gruppo si disperse. Il primo concerto non ci fu mai.

Erano passati più di trent’anni, quando un giorno, quasi come un’illuminazione, ci rendemmo conto che era tornato il momento di realizzare il sogno che avevamo cullato fin dal nostro primo incontro. Eravamo tornati da Venezia, e in paese, il presidente della Pro Loco, ci mise a disposizione una bellissima sala presso la vecchia scuola elementare di Via Dell’Arma Azzurra. “La nostra scuola!” esclamammo. Quanti ricordi! Quanta allegria dimenticata! I tanti bei spettacoli organizzati dalle maestre, le meravigliose mostre nei grandi anditi con i disegni di tutti i bambini, i concorsi per scegliere la poesia più significativa o il tema più originale da pubblicare nel giornalino della scuola. E chi non aveva avuto paura delle ore di religione con Don Piras? Anche quando le sue tiratine d’orecchi diventavano un po’ troppo dolorose, al rientro a casa nessun bambino ne faceva parola con i genitori. Poi c’erano la paura dei compagni più grandi, che a volte ti rincorrevano per picchiarti, e i pianti per i nomignoli che ti appioppavano. E quanta angoscia per i ritardi! Signora Annunziata Marini avrebbe chiuso il cancello col lucchetto, e riaprirlo non sarebbe stato possibile neanche se fosse arrivato tuo padre in divisa. Anzi tuo padre e tua madre erano d’accordissimo con Signora Annunziata, con Don Piras e con tutte le maestre. Amabili o esageratamente severe, le Maestre erano comunque perfette, perché erano le Maestre, e sapevano come educare.
Strapiena dei più bei ricordi della nostra infanzia, la scuola dove ancora risuonavano i primi canti che avevamo imparato, era perfetta per diventare il nostro nuovo punto d’incontro, e nel giro di qualche giorno arrivarono più di venti ragazzi: eravamo di nuovo il Maestro e la Maestra.
I primi incontri furono ricchi di emozioni: passavamo più tempo a raccontare che a cantare. Ci sembrava di essere in un sogno. Alcuni si erano sposati e avevano dei figli, altri avevano lasciato il paese per tanto tempo, ma tutti avevano ancora lo stesso entusiasmo e la stessa passione per il canto.
Ricevemmo tantissimi regali: una bellissima lavagna dove Franco incise il pentagramma; una comoda scrivania e un armadio capiente donati da un generoso sostenitore; una tastiera procurata da Luisa, che era impaziente di iniziare. Dopo poche prove, ripensando a quel lontano concerto mai realizzato, fissammo la data della prima esibizione: “a Natale faremo il nostro primo concerto”, annunciò il Maestro, “abbiamo un debito con tutto il paese e soprattutto con Don Pietro che, nel lontano 1970, ci aveva messo a disposizione il vecchio salone”. A molti quella data sembrò un po’ troppo vicina, ma l’entusiasmo ci aiutò a superare la paura.
Arrivò Natale. Il coro era pronto per il concerto. Le ragazze avevano curato tutti i particolari: abiti, acconciature e trucco. “L’abito nero è più elegante”, si diceva. La sarta, che ormai faceva parte del coro, aveva suggerito una bella sciarpa rossa in seta, e così aveva aggiunto un tocco di raffinato stile agli abiti neri. “Abito nero anche per i ragazzi”, aveva suggerito il Maestro, che di concerti ormai se ne intendeva, “con papillon nero, possibilmente”. Ed è allora che Gemiliana aveva messo in mostra tutto il suo talento: aveva preparato i papillon per tutti, Maestro compreso, ed erano così perfetti e ben rifiniti che neanche un sarto di fama li avrebbe cuciti meglio.
Il Concerto di Natale fu un grande successo. L’emozione più grande era stata quella di avere i nostri figli e nipoti in platea ad ascoltarci. I nostri genitori invece non c’erano più. Loro che tanto tempo prima avevano condiviso il nostro progetto, ora se n’erano andati, anche se nel fragore degli applausi, ci era sembrato di vederli sorridere tra il pubblico.
Con il nostro primo concerto avevamo vinto la paura e ci sentivamo orgogliosi di ciò che avevamo realizzato. Era la prima volta che cantavamo a quattro voci. Forse ci era sfuggita qualche pausa, forse nella grande tensione del momento qualche semibreve era diventata più corta e qualche croma troppo veloce, ma era bastato il primo accordo dell’Ave Maria perché anche l’ascoltatore più distratto venisse contagiato dall’emozione, e questa era l’unica cosa che contava.
Giorno dopo giorno, concerto dopo concerto, diventammo sempre più affiatati e iniziammo a sentirci parte di un coro vero e proprio. Fu così che decidemmo di organizzare una nuova avventura: “a ottobre del prossimo anno faremo un gemellaggio con una corale francese”, annunciammo. Alcuni pensarono ad uno scherzo, una battuta come tante: d’altronde il Maestro amava scherzare. Ma il gemellaggio con la Francia era un progetto serio, e ben presto l’euforia e l’entusiasmo contagiarono tutti, in tutto il paese, proprio come ai vecchi tempi.
Arrivò ottobre e partimmo per il gemellaggio. Molti di noi non erano mai stati in Francia: Annecy, Lione, Chamonix, il Monte Bianco. La corale francese ci riservò un’accoglienza indimenticabile, e altrettanto indimenticabili furono le chiese dove realizzammo i nostri concerti. Poi la corale di Annecy ricambiò la visita. Fu una speciale settimana di festa che coinvolse tutto il paese, sindaco e assessori compresi, e l’esperienza ci lasciò così entusiasti che non vedevamo l’ora di ripeterla.
Il secondo gemellaggio non tardò ad arrivare. “Questa volta andremo nel Veneto”, annunciammo, “ma dobbiamo darci da fare per creare un repertorio sempre più vario”.
Il viaggio nel Veneto fu ricco di sorprese. Il Maestro non aveva potuto tralasciare la visita al Teatro La Fenice, a Venezia. Era stato il suo teatro per diversi anni, ne conosceva tutti i particolari, lo aveva amato come si può amare la propria casa, ma dopo l’incendio non l’aveva più rivisto. All’Arena di Verona, invece, mentre gli attrezzisti lavoravano all’allestimento della prima opera, avevamo intonato “Non poto reposare”, e tutti i turisti presenti erano restati immobili, in perfetto silenzio, fino alla fine del canto. Era stato emozionante ricevere gli applausi da una platea così speciale: in Veneto avevamo fatto diversi concerti, ma il concerto improvvisato all’Arena era quello che tutti raccontavamo con più entusiasmo, quasi fosse stato l’unico.
Ai momenti di festa si alternarono momenti di grande tristezza. Franco, che tanto aveva sognato il viaggio nel Veneto, un mese prima della partenza se n’era andato. Nel canto aveva trovato una nuova dimensione e sperava così di sconfiggere il suo male, ma non ce l’aveva fatta. Poco tempo dopo ci aveva lasciato anche Mondo, uno dei nostri bassi, e gli dedicammo una poesia che iniziava così: “Cun passu eleganti e armoniosu che oppinu solitariu in bidda nosta, fra is primus a cantai fiast arribbau e fra is primus, silenziosu, s’a lassau”.
Non fu facile accettare l’assenza dei nostri amici, ma continuammo a cantare, a viaggiare e a sognare. E continuiamo anche oggi: siamo sempre di più e sempre più uniti. Uniti dalle nostre origini, dai ricordi d’infanzia, dai successi e dai momenti difficili, ma soprattutto dalla musica che ci ha fatto diventare una grande famiglia.

Anna C.

Nota.
“Un sogno nel cassetto” è la storia della Schola Cantorum Villa del Mas, la corale di Elmas. Oggi la corale è formata da più di cinquanta cantori, provenienti da Elmas e altri paesi vicini. Il racconto è stato premiato al concorso "Raccontando Elmas" organizzato dall'associazione culturale Equilibri di Elmas.

venerdì 3 dicembre 2010

I concerti di dicembre 2010

Quest’anno la Schola Cantorum Villa del Mas per il mese di dicembre ha programmato una serie di concerti in collaborazione con l’Associazione A.I.D.O. di Assemini, la Pro Loco di Samatzai, La Comunità La Collina di Serdiana, la Consulta degli Anziani e l’Amministrazione comunale di Elmas.

11 Dicembre 2010
Assemini, Sala Consiliare. Ore 18.
"Memorial Franco Orrù"

12 Dicembre 2010
Elmas, Consulta degli Anziani, Via dei Garofani. Ore 18.
"La giornata dell'anziano"

18 Dicembre 2010
Serdiana, Comunità La Collina. Ore 19.
"Star bene insieme cantando"

19 Dicembre 2010
Samatzai, Montegranatico. Ore 18.
"Sulle vestigia degli antichi padri"

23 Dicembre 2010
Elmas, Teatro Comunale. Ore 19.
"Dedicato a tutti i masesi"

Vi aspettiamo numerosi per una serata di festa!

lunedì 2 agosto 2010

Mondu adiosu


Cum passu eleganti e armoniosu
che oppinu solitariu in bidda nosta,
fra is primus a cantai fiast arribbau
e fra is primus, silenziosu, s’a lassau.

Finzas a Venezia se boffiu arribbai,
cum impegniu seriu: scetti po cantai.
Mancai a passu lentu non fiast mai stancu
e no ti praxiad manc’a murrungiai.

Chiaru e sinceru me is pagus fueddus
pren’e fantasia fiast in sa scrittura.
S’atti de contai fiad una passioni
e candu attacasta teniast misura.

S’uttimu salludu fiad po Santu Perdu
e non mi pariast aici impressiu.
Deu femu sicura che a fini ‘e istadi
cantendi in su coru gei ti iappessi biu.



Mondo addio

Con passo elegante e armonioso
come pino solitario nel nostro paese,
fra i primi sei venuto a cantare
e fra i primi, silenziosamente, ci hai lasciato.

Fino a Venezia sei voluto arrivare,
con impegno serio: solo per cantare.
Anche se eri lento non eri mai stanco
e non ti piaceva neanche brontolare.

Chiaro e sincero e di poche parole,
ricco di fantasia quando scrivevi.
L’arte di raccontare era una passione
E quando incominciavi sapevi controllarti.

L’ultimo saluto fu per San Pietro
e non mi sembravi così di fretta.
Io ero sicura che alla fine dell’estate
Ti avrei rivisto cantare nel coro.

A.C.

mercoledì 23 giugno 2010

Arrivederci a settembre

Siamo giunti ormai alla fine del corrente anno “musicale” che, volenti o nolenti, ci farà voltare un’altra pagina dell’album dei momenti e dei ricordi, tristi e allegri, che quest’anno hanno segnato la vita della nostra corale.

Si arriva a questi ultimi giorni con la stanchezza di un lungo anno fatto di impegni che, se da un lato ci hanno arricchito, dall’altro hanno significato anche un importante dispendio di risorse fisiche e mentali con l’obiettivo però di lasciare in tutti un piacevole ricordo delle serate trascorse insieme cantando, per tutto il periodo delle vacanze pronti ad iniziare a settembre una nuova avventura.

Possiamo dire che anche quest’anno l’impegno profuso da tutti noi è stato rilevante ed ha avuto sempre un solo filo conduttore che è stato quello di finalizzare l’attività al miglioramento della vita dell’Associazione attraverso la realizzazione di iniziative e progetti.A supporto di quanto detto il progetto più importante di quest’anno è stato la realizzazione del concerto in Veneto, questo obiettivo raggiunto senza non pochi sforzi, ha comunque gratificato molto, sia tutti noi che il maestro Orlando e la nostra meravigliosa insegnante di musica Anna e rappresenta per noi un’ulteriore stimolo per il futuro. Pertanto vi assicuro che anche il prossimo anno ci impegneremo al massimo per rendere le ore che trascorreremo insieme più piacevoli possibile.

Come doveroso in queste occasioni, non mi resta che ringraziare tutti voi che avete permesso di realizzare quanto fatto durante il corso dell’anno, un ringraziamento particolare ad Orlando e Anna che ci hanno supportato e “sopportato” durante tutto l’anno con la promessa che a Settembre inizieremo tutti con grande entusiasmo e soprattutto con grande impegno, le lezioni di solfeggio!!!!

Sono veramente orgogliosa di rappresentare la nostra corale fatta di persone garbate, gentili e sensibili e di avere due eccellenti professionisti alla direzione musicale ed artistica della nostra corale.

Buone vacanze!!!!!!!!!!!

Stella

giovedì 10 giugno 2010

Gemellaggio con San Donà di Piave (VE) - Maggio 2010

Carissimi,

avrei voluto salutarvi alla fine del viaggio ma all'aeroporto non c'è stato il tempo. Mariti che si riprendevano le mogli in fretta e furia, mogli che cercavano disperatamente i loro mariti, dubbiose del loro rientro. Allora ho preferito scrivervi con la speranza che qualcuno vi facesse pervenire questo mio messaggio.

Il viaggio nel Veneto non lo dimenticherò facilmente soprattutto per le forti emozioni che il coro Schola Cantorum Villa del Mas ha saputo farmi provare. I solisti sono stati semplicemente fantastici. Il primo riesce ad esprimere sempre meglio i sentimenti che Pepino Mereu ha voluto tramandarci e il secondo, al suo esordio, ha saputo sbalordire proprio tutti, sardi e non. Un augurio affinché non fumino troppo...

Mi sono trovata veramente bene. Il fatto che la fine del viaggio mi abbia rattristato, per me significa che mi sono veramente divertita e trovata bene con tutti voi.

Ho apprezzato la speciale collaborazione che c'è stata da parte di ognuno e la grande capacità di inserimento da parte degli ospiti che ci hanno accompagnato. Ciò che conserverò a lungo sarà la serenità di mia sorella, l'aver scoperto la semplicità e la sensibilità artistica di certe persone e soprattutto aver ri-incontrato tanta gente che ama la musica come me.

In qualche momento ho pensato che leggere i percorsi storici che avevo preparato potesse essere noioso. Invece mi sono dovuta ricredere. Tutti hanno saputo apprezzare e seguire con vero interesse.

Che dirvi di Stella? È una donna in gamba e per me sentirmi rappresentata da lei è un privilegio. In questo viaggio ho potuto apprezzare tutte le capacità che possiede. Condurre un gruppo così numeroso sappiamo tutti che non è per niente facile, ma lei non ha avuto timore di organizzare. Anche nei momenti più complicati ha saputo trovare i modi migliori per risolvere i problemi con intelligenza e garbo.

Ho potuto verificare di persona che anche il lavoro della contabile è di fondamentale importanza. Ordinata, precisa e trasparente come l'acqua di Cala Golorizè, direbbe Niffoi. E raccogli 200, 300, 7, 10, 4 euro... non è facile chiedere soldi in continuazione, a volte possono crearsi anche delle incomprensioni che per fortuna, grazie al grande senso di fiducia che regna nel gruppo, si dileguano come neve al sole.

Ho apprezzato che non ci sono mai stati screzi, o se ci sono stati, sono stati sedati immediatamente. E' stato bello vedere che tutti serenamente dialogavano con tutti.
La mia può apparire una relazione scolastica, ma sinceramente sono felice di aver notato tutte queste cose positive. Inizialmente ero un po intimidita, per me era la prima volta e tutti voi sapete bene che i gruppi non sempre funzionano così. Mi complimento con tutti voi perché avete colto appieno l'obbiettivo primario della corale: stare bene insieme cantando. E sottolineo prima insieme perché grazie al fatto che ci si sente uniti possiamo stare a lungo assieme e cantare sempre meglio e immobili come statue nel finale (grandissimo desiderio del Maestro, realizzato quasi al 100%).

Sono sicura che tutti siamo tornati a casa contenti dell'esperienza vissuta e pronti a ripartire. Credo che questo sia successo perché ognuno ha saputo dare il meglio di se stesso. Chi di voi non ricorda quel detto sentito e ri-sentito dai genitori, dai nonni e qualcuno anche dai bisnonni "andai de amori e de accordiu"? Credo che in queste poche parole sia racchiuso il segreto della riuscita di ogni incontro con gli altri, pochi o tanti che siano.

È chiaro che chi non ha potuto partecipare ci è tanto mancato e spero che in altre occasioni riescano ad unirsi a noi.

Con affetto.

Anna C.

mercoledì 9 giugno 2010

Concerto a Croce, 29 Maggio 2010

"La Schola Cantorum Villa del Mas" mi ha commosso.

Potrei essere di parte, ma quando dei cantori che dovrebbero essere dei semplici dilettanti riescono a emozionarti, allora forse non si è di parte.L'impegno enorme che ogni cantore ci mette per realizzare un pianissimo con grande gusto o un crescendo con tutto l'entusiasmo e la carica che possiede, dimostra che questi "semplici dilettanti" così dilettanti poi non sono, almeno non nell'animo, perché sanno comunicare con l'ascoltatore in un modo sorprendente.Può darsi che qualche volta sfugga una pausa e accettiamo pure che, nella tensione del momento, qualche semibreve diventi più corta o qualche croma troppo veloce, ma poi al primo accordo dell'Ave Maria anche l'ascoltatore più distratto viene contagiato dall'emozione e i cantori riescono a creare un’atmosfera davvero magica proprio come dei veri esperti.Quello stato di grazia che il maestro chiama musicalità e che a parole non è così facile da spiegare, non è altro che un’emozione inebriante che riempie la sala quando i cantori si dimenticano di ogni incertezza, di ogni insicurezza e di ogni dubbio e diventano un coro, un’unità armonica, una musica che rapisce. Ed ecco perché "La Schola Cantorum Villa del Mas" oggi mi ha proprio commosso.

A.C.

venerdì 21 maggio 2010

Ciao Franco

Ho pensato di scriverti una e-mail. Sai perché? Perché credo che le e-mail prima di arrivare al destinatario volino in cielo. Tu così puoi leggerla comodamente, magari ad alta voce, perché noi ti sentiamo e ti sentiremo ogni volta che ci vorrai suggerire qualcosa, ogni volta che vorrai partecipare ai concerti e soprattutto ogni volta che vorrai seguirci nei nostri viaggi.

Ti abbiamo conosciuto come un grande appassionato dello sport e ci piaceva il fatto che allenassi dei ragazzi. La pazienza, la comprensione e l'entusiasmo che servono in queste attività tu le possedevi tutte e i ragazzi erano felici di avere un allenatore come te. Nel diario della loro vita, i pulcini, accanto alla parola sport, avranno sicuramente incorniciato il tuo nome, il nome di un amico prezioso da custodire nei più bei ricordi dell'infanzia.

Poi un giorno una persona con un cuore veramente d'oro ti ha voluto fare un regalo che non ti saresti mai aspettato, e così hai potuto riprenderti la vita per altri sette anni. E’ grazie a questa splendida persona che abbiamo potuto conoscere un altro meraviglioso aspetto che tu possiedi: ti apprezzavamo come allenatore speciale e poi abbiamo potuto conoscere anche la tua passione per la musica.

Sei arrivato nel coro quasi timidamente, ma dopo poco tempo le persone, il canto, il maestro ti hanno conquistato e dal quel momento non hai più rinunciato alla gioia del canto. Hai saputo cogliere che la musica non serve solo per accompagnare la pubblicità, ma “è l'espressione fisica dell'anima”,come dice Daniel Barenboim, uno dei più grandi direttori d'orchestra del mondo. Tu che sei sempre stato attento alla salute del corpo, non potevi trascurare quella dello spirito.

In questi pochi ma intensi e collaborativi anni, hai saputo sfruttare appieno questi incontri. Ti sei innamorato di Giuseppe Verdi, compositore tanto patriottico quanto sensibile alle bellezze dell'anima. Lo splendido canto "O Signore dal tetto natio" lo abbiamo cantato alle prove, ai concerti, ma ultimamente anche a casa e in ospedale e tu eri sempre felice di riascoltarlo. Sicuramente non hai scelto a caso. Sapevi bene che nei "Lombardi alla prima crociata", i pellegrini implorano l'aiuto divino…

Fantastica la serata della rassegna in onore di San Francesco dove si cantò per la prima volta "I Carmina Burana". Tutti erano elettrizzati, quasi spaventati, e tu, affascinato da questa meravigliosa composizione, eri veramente al settimo cielo. Avevate cantato veramente bene, ma eravate increduli. Poi riascoltando il dvd anche tu ti sei reso conto del "miracolo di S. Francesco", così lo battezzò il maestro.

E' stato un grandissimo regalo per tutti noi averti nella corale anche se per così poco tempo. Non sarà facile sostituirti come vicepresidente. Sono sicura che chi ti succederà non dimenticherà il tuo entusiasmo e la tua voglia di fare sempre meglio. Gli amici francesi ti abbracciano forte e tu sai bene quanto li avevi conquistati col tuo fare spontaneo e cordiale.

Io personalmente non dimenticherò mai le ultime lezioni di solfeggio al Policlinico di Monserrato. "Ma questi segni, subito dopo la chiave, che cosa sono?" mi hai chiesto con tanta curiosità e interesse. "Si chiamano diesis e bemolli, ma questo te lo spiegherò nella prossima puntata". Adesso non hai più bisogno delle mie spiegazioni perché lì dove sei avrai sicuramente maestri migliori. Se ti capita chiedi a Guido D'Arezzo o se preferisci avvicinati da Carl Orff. E' sicuro che non avrai problemi di lingua. Se poi hai ancora qualche dubbio guarda bene perché c'è anche Giuseppe, quello che ha scritto "O Signore dal tetto natio" e ti assicuro che è preparatissimo. Noi continueremo a cantare anche perché siamo fortemente convinti che la musica sia l'espressione fisica dell'anima e cantando non sarà difficile sentire ogni volta la tua affettuosa presenza.